
Cenni storici
Il primo Alzheimer Cafè è nato nel 1997 a Leida, in Olanda, da un progetto dello psicogeriatra Bère Miesen, il quale si era reso conto che, per i malati di Alzheimer, le cure sanitarie erano insufficienti e che era necessario investire di più nelle terapie psico-sociali. Al primo incontro da lui organizzato hanno partecipato 20 persone, un mese dopo erano 35, il mese dopo ancora 54 persone. Era chiaro che l’iniziativa andava a soddisfare un bisogno reale. Nel primo Alzheimer Cafè le riunioni si tenevano ogni mese in un giorno fisso, ad esempio il primo lunedì di ogni mese. In tutto venivano organizzati 10 incontri all’anno.
I Cafè Alzheimer oggi
Dal 1997 ad oggi gli Alzheimer Cafè si sono diffusi in molte città d’Europa: Londra, Vienna e Parigi. Negli ultimi anni si stanno diffondendo anche da noi. Si sono evoluti gli approcci e le modalità di conduzione, alcuni incontri si svolgono all’interno di bar, altri all’interno di case di cura o di centri diurni, altri nelle Parrocchie, altri in locali di associazioni, ma senza perdere di vista l’obiettivo finale.
L’Alzheimer Cafè in parrocchia
Alzheimer Cafè è un luogo di ritrovo per persone che condividono lo stesso problema di salute (la malattia Alzheimer).
Gli incontri di Alzheimer Cafè avvengono ogni 15 giorni, il martedì pomeriggio, nei locali dell’oratorio San Luigi, precisamente nel Salone Pozzi. All’ingresso, i volontari, riconoscibili dal grembiule arancione, accolgono gli ospiti dei quali avranno attenta cura per tutto il pomeriggio. Durante questi appuntamenti si svolgono attività precedentemente programmate e diversificate.
Alcune proposte di attività:
- esercizi di stimolazione cognitiva
- esercizi mnemonici
- giochi e laboratori artistico-occupazionali
- attività motorie
- animazione musicale.
Nella stessa fascia oraria in locali attigui i caregiver (coloro che si prendono cura) incontrano specialisti e professionisti con cui affrontano tematiche relative alla malattia di Alzheimer. In questi anni sono stati presenti medici (geriatra – cardiologo – oculista – dentista), psicologi, fisioterapisti, assistenti sociali e rappresentanti istituzionali. Al termine degli incontri tutti i partecipanti si riuniscono per un momento conviviale con merenda, musica e danze.
Responsabile del progetto: Dott.ssa Anna Giuliani – giulianianna@live.it
Per saperne di più:
Nell’Alzheimer Café, dove la malattia la si affronta insieme
Articolo redatto dalla giornalista del “Corriere della Sera” Stefania Culurgioni in occasione della giornata mondiale dell’Alzheimer
«In una sala addobbata con striscioni colorati, piena di persone che ballano, ridono, parlano, si danno di gomito per scherzare sulle rispettive pose da attempati seduttori, invitano le mogli altrui a un giro di valzer e fanno cerchio per bisbigliarsi le ultime novità di famiglia, c’è una bambola immobile su una sedia, con un cappello di feltro verde scuro in testa, il trucco distribuito sulle guance, le mani incrociate posate sulle gambe, gli occhi velati, le labbra socchiuse, un pallore di porcellana a offuscarle il viso. La musica frusta la sala da una parete all’ altra come un guscio vuoto, esce dalle casse imperfetta riverberata in mille eco, si mischia al vociare, alle risate che le stridono addosso, al ringhio stridulo di una sedia spostata senza sollevarla. Se osservi bene la bambola immobile puoi notare una minuscola vena che le pulsa sul collo, le narici trasparenti allargarsi impercettibilmente e una donna più giovane che le assomiglia moltissimo, parlarle all’orecchio con voce dolce. Chi è? “Lei è la mia bambina – spiega Ada, che è sua figlia – Mia madre è la mia bambina di 85 anni. A volte riesco anche a farla cantare”. Siamo a Sesto San Giovanni, in un ampio stanzone dentro l’oratorio della parrocchia di Santo Stefano. Fuori è un pomeriggio caldo di un giorno della settimana ma dentro è festa, una di quelle feste che accadono solo due volte al mese, quando è il momento di ritrovarsi all’Alzheimer Café. La bambola non è una sola, ce ne sono altre. E altri uomini con lei, con lo sguardo un po’ perso, una luce remota negli occhi, l’espressione di un bambino vecchissimo che cerca di capire dove si trova. Sono i fantasmi dell’Alzheimer, i cancellati, i vagabondi di un passato che vive solo nella loro memoria, lontanissimi da qui, oppure presenti, ma per dimenticarsene subito. Qui si sente la gioia e la pena delle loro famiglie, soprattutto dei figli, che ad un certo punto ne diventano i genitori, li accudiscono, li accompagnano, li guidano e decidono per loro, come in uno strano contrappasso del destino. “Non so esattamente quando si sia ammalata – spiega Ada che ha 55 anni, una famiglia, due figlie, un lavoro part time – ma so che in un certo senso non è più la mia mamma, non ricorda niente, vegeta, non parla”. Il marito è morto qualche anno fa, uno dei suoi figli lo ha perso per un tumore da cinque anni ma nessuna di queste cose esce più dalla bocca di questa bellissima signora di 86 anni. Sua figlia è tutto quello che le resta. “L’Alzheimer Café è un appuntamento che abbiamo due volte al mese, e per fortuna che esiste. Solo in queste occasioni riesco a farla uscire e a volte capita addirittura che le scappi qualche canzone. Per me è una conquista ma per il resto è tutto molto pesante. Ho sempre paura di non fare abbastanza, faccio il possibile perché lei sia serena per questo poco tempo che la avrò con me, ma la vedo consumarsi sempre di più, come un lumicino”. Ada ha dovuto prendere una badante: le costa 870 euro al mese più 760 di contributi, assiste la signora dalla domenica alle 8 di sera al sabato alle 14 e ogni giorno ha una pausa di due ore: “ Vado io a coprire quel tempo vuoto – continua Ada –il suo stipendio lo paghiamo con la pensione di reversibilità di mio padre, ma anche con i risparmi messi via dai miei. Senza non ce la faremmo».